PROLOGO
VIRTUALE DELL’AUTORE
Smorfia:
Prologo, 61
Dicette
Pullecenella: ‘A ccà me trase e pe’ culo m’esce
al
Libro Cartaceo
VITA
MORTE E RESURREZIONE DI
PULCINELLA
La
Maschera che ha tenuto in vita la Commedia dell’Arte
di
Antonio
Fava
Questo
lavoro, VITA
MORTE E RESURREZIONE DI PULCINELLA,
non è storico-filologico, è un lavoro di estetica, poetica e di
analisi strutturale del più longevo, concreto e strutturato genere,
o sistema di generi teatrali, che oggi chiamiamo o, se si preferisce,
il cui nome è oggi standardizzato nella locuzione Commedia
dell’Arte; il pretesto forte, estetico-poetico-strutturale, è la
maschera di Pulcinella.
Nel
cartaceo del mio PULCINELLA,
Il paziente lettore noterà qualche insistenza su alcuni concetti.
Ciò è dovuto a due ragioni: la prima derivante dall’esperienza
dell’insegnamento dalla quale ho appreso che la ripetizione di
concetti e principî fondamentali non è mai troppa; la seconda è
conseguenza dell’elaborazione del libro avvenuta avventurosamente
in tempi e luoghi differenti, compresi non-luoghi come gli aeroporti
e gli aerei nei tempi d’attesa e di viaggio. Anche i treni e le
stazioni hanno fatto la loro parte. E poi gli alberghi e, ovunque,
camminando (quando da solo). Insomma, tempi e luoghi preziosissimi e
insostituibili per scrivere un libro, poiché il 90% del mio tempo
attivo, è sociale. Così che la rilettura degli appunti mi ha messo
di fronte a una certa produzione di ripetizioni. Le ho risolte in
gran parte, ma non ho voluto risolverle tutte.
Repetita
Juve,
dice il mio carissimo amico e collega Dottor Arcifanfo Spidocchioni
della Nobilissima anzi Asinissima Compagnia dei Briganti della
Bastina. Io preferisco la lezione classica, Repetita
Iuvant,
ma non ditelo al Dottor Arcifanfo, sennò m’intavola una
disceptatio infinita.
Chi
fa teatro, di qualsiasi genere e diffusione, non fa mai nulla – o
non tutto – di ciò che storici e critici del teatro affermano i
teatranti facciano.
E
per essere più precisi, dirò che gli storici e i critici del
teatro, per quanto si sforzino non sono mai capaci di spiegare che
cosa facciano e come gli attori facciano le cose, sulla scena: in che
modo gli attori e per quali reali ed esatti motivi, fanne
chelle che fanne.
Le loro spiegazioni sono sempre sconcertantemente astratte, astruse,
inapplicabili; sono pessimi osservatori, guardano e devono pur vedere
qualcosa, ma vedono altro da quello che noi effettivamente facciamo,
attuiamo; e se noi – dopo aver letto una critica che ci riguardi –
dovessimo rifare, sulla scena, ciò che abbiamo fatto ma così com’è
stato descritto da uno di questi osservatori, non potremmo più
rifarlo, non ne saremmo capaci.
Un
attore, quando legge la critica che lo riguarda o che riguarda lo
spettacolo del quale fa parte, può essere contento o deluso o
arrabbiato a seconda di quello che il critico dice di positivo o
negativo. Un artista della scena gioisce sempre quando la critica
commenta positivamente la sua prestazione e si arrabbia o si deprime
se se ne parla negativamente: ma l’artista non si chiede mai se
quella descrizione o commento abbia a che fare realmente con quanto
prestato sulla scena; non per distrazione, ma per pura umana
debolezza: vuole solo sapere se è piaciuto, verificare se ha avuto
successo.
L’artista
resta basito quando la critica è incomprensibile, criptica,
indecifrabile, scritta in un linguaggio ultraspecialistico:
specialistico della critica, non dell’attore, dato che un attore,
con altri attori, non parla mai con quel linguaggio ma ne usa uno
schietto, semplice, diretto, chiaro e inequivocabile; dunque, quella
critica non permette di capire se la sua prestazione sia stata buona
oppure no, se è piaciuta oppure no, se ha avuto successo o se ha
fatto fiasco.
L’artista
infine non sa più che pensare quando, sapendo benissimo di avere
avuto successo, poiché il pubblico glie l’ha dimostrato molto
chiaramente durante tutta la rappresentazione e specialmente nel
grande applauso finale, leggendo poi la critica “scopre” di aver
fatto solo cose sbagliate.
L’arte
teatrale è da sempre spiegata, narrata, illustrata da chi il teatro
non lo pratica. Tre sono le categorie storiche degli osservatori del
teatro:
chi
ne redige la storia (storiografia teatrale)
chi
ne sviluppa l’analisi (critica teatrale)
chi
ne vorrebbe la scomparsa (avversità al teatro)
Sono
esclusi i teatranti e il pubblico che frequenta il teatro.
Non
di rado, le tre categorie sono fuse in un’unica persona.
La
quasi totalità della documentazione scritta, critica e testimoniale,
sulla Commedia dell’Arte, è detrattiva. Ed è sincera in questo
senso. Noi oggi ricaviamo molte informazioni riguardanti la Commedia
dalle dichiarazioni di esecrazione, di schifo, che provocava in
quelle persone. Ci riusciamo meglio che con i complimenti, perché il
ributto oltre ad essere molto più frequente dell’elogio è più
circostanziato, a modo suo sincero e va dritto allo scopo. Ecco
quanto ci dice Tommaso Garzoni alle pagine 739 e 740 della sua PIAZZA
UNIVERSALE:
Come
entrano questi dentro a una città, subito col tamburo si fa sapere,
che i Signori Comici tali sono arrivati, andando la Signora vestita
da huomo con la spada in mano a fare la rassegna, et s’invita il
popolo à una commedia, ò tragedia, ò pastorale in palazzo, ò
all’Hostaria del Pellegrino, ove la plebe desiosa di cose nuove, et
curiosa per sua natura subito s’affretta a occupar la stanza, et si
piazza per mezzo di gazette dentro alla sala preparata, e qui si
trova un palco postizzo, una scena dipinta col carbone senza un
giudicio al mondo; s’ode un concerto antecedente d’asini, et
galavroni; si sente un prologo da Ceretano: un tono goffo come quel
di Fra Stoppino; atti increscevoli come il mal anno; intermedij da
mille forche; un Magnifico che non vale un bezzo, un zani che pare
un’occa, un Gratiano che caca le parole, una ruffiana insulsa, e
scioccarella, uno innamorato che stroppia le braccia a tutti quando
favella, uno Spagnuolo, che non sa proferir, se non mi vida, e mi
corazon, un pedante che scarta nelle parole toscane a ogni tratto, un
Burattino che non sa far altro gesto che quello del berettino che si
mette in capo, una Signora sopratutto orca nel dire, morta nel
favellare, addormentata nel gestire, c’ha perpetua inimicizia con
le gratie, e tien con la bellezza differenza capitale. 1
[sic,
tutto].
Il
linguaggio è colorito, simile a quel linguaggio teatrale tanto
deprecato; e ce n’è abbastanza da ricostruire tutto un mondo, un
tipo di vita, un mestiere. Molto probabilmente il buon Garzoni
testimonia della cattiva rappresentazione di una (o più di una)
compagnia di basso livello. L’esempio di quello zanni, “un
Burattino che non sa far altro gesto che quello del berettino
che si mette in capo” è puntuale. Poi costatiamo da varie immagini
storiche di epoche diverse e con compagnie e artisti diversi e da
molti scenari, che effettivamente si usava fare giochi vari col
berretto. Ebbene possiamo prendere per buona la testimonianza del
Garzoni che ci conferma un uso, quello dello Zanni che giocherella
col berretto. Il “critico-storico” Tommaso Garzoni vedeva che
forse sì quell’attore non era gran che, ma gli sfuggiva il motivo
istrionico del gesto, in sé stesso giusto perché appartenente al
personaggio, all’uso, allo stile acquisito da tutta una categoria.
Grazie dunque a un osservatore non benevolo, ricaviamo
un’informazione o, meglio, una conferma di ciò che ci sembrava
esistere e ora procediamo più tranquilli nello studio
dell’interpretazione del personaggio.
Curiosamente,
la cattiveria d’altri tempi ci è di grande utilità mentre le
attenzioni di oggi scansionano l’Arte in un modo che io, attore,
non so proprio come utilizzare.
Con
tutto il rispetto per le minuziose e approfondite ricerche degli
studiosi della nostra epoca, ciò che gli attori fanno, facevano,
faranno sulla scena, può essere spiegato pensando come attori.
Per
pensare come un attore occorre essere un attore, oppure occorre
frequentare gli attori nell’esercizio delle loro funzioni, che sono
quelle di allestire spettacoli teatrali per rappresentarli davanti al
pubblico; lo scopo finale si riassume nel divertimento del pubblico e
nel successo degli attori. Incredibile, eh! che si possa dire così!
D’altronde, se io attore del Duemila devo recitare, che so,
Shakespeare (tanto per citarne uno), o Goldoni (per citarne un altro)
come faccio a sapere come va recitato? Me lo faccio spiegare nei modi
incomprensibili, forse inconsistenti, oggi così in voga? Che cosa
capisco io di come si recitava trecent’anni fa? E devo pur saperlo,
anche se devo lavorare a una versione moderna di tali autori, poiché
non modernizzo nulla se non so tutto quello che c’è da sapere
sull’originale. E che capiranno fra trecent’anni di come si
recita adesso? Me lo spiega il regista? Ahi … ! Sì, poiché il
tremendissimo problema della nostra epoca teatrale è che gli attori
sono nelle mani di registi che si formano con quel tipo d’indagine,
di analisi e di linguaggio e poi manipolano gli attori a loro
piacimento, attori smarriti, colpevolizzati, incapaci di servirsi del
proprio talento perché questo viene letteralmente censurato e
bloccato da quei registi. Sono registi a-teatrali così come lo sono
spesso i pur bravi e scrupolosi ricercatori.
La
critica alla critica qualcuno la deve pur fare. Non è lo scopo del
libro, anche se per un teatrante e difficile astenersene. Se io ci
provo, non è per cautelarmi o difendermi in modo personale (sto
bene, sto benissimo, lo sto di salute [toccatina …] e lo sto
professionalmente parlando), ma per contribuire a proteggere (anche
in questo, insomma, ci provo) la Categoria, quella parte di essa
almeno che tiene in massimo conto la Tradizione.
Quando
la moderna storiografia dell’Arte s’è messa in testa che la
Commedia è soltanto un personaggio, Arlecchino2,
il quale è (dicono che sia) un diavolo e quindi la Commedia è una
diavoleria infernale, non hanno soltanto sparato una grandissima
pappolata, ma hanno anche e soprattutto – dall’alto della loro
accademica autorità o autorevolezza accademica – operato una
mostruosa e appiccicosa disinformazione dalla quale non riusciamo più
a ripulirci, a decontaminarci.
Se
la Commedia fosse davvero come dovrebbe essere in conformità a
quelle “analisi”, non si saprebbe cosa farsene delle vicende dei
personaggi, così normali, così cittadine, così laiche, così
concrete: poiché così è nel repertorio comico che impegna i
commedianti per oltre il settanta per cento dei titoli, e così è,
trasversalmente, anche nei repertori ‘fantastici’ e
‘meravigliosi’ delle fabule pastorali e magiche e nelle opere
regie e truci e tragiche e truculente. Nella piccola – in
proporzione – quantità di maghi, magie, esecuzioni capitali e
apparizioni di esseri superni e inferni d’ogni specie, ci sono
sempre, immancabilmente, sempre centrali, sempre irrinunciabili
riferimenti, i buffi normali laici concreti, i Vecchi con le loro
tardive ‘sputazzelle’ e i Servi con la loro irrisolvibile
sopravvivenza e gli Innamorati con le loro pene d’amore ed i
Capitani con la loro boria, a ricordarci che la verità vera concreta
umana e sociale la portano loro. La impongono. La affermano. Sempre.
Che
fine hanno fatto, in quel momento, nel momento in cui alcuni hanno
divulgato la bufala storica della Commedia-Diavoleria, la
scientificità, l’esattezza, l’irreprensibilità che li
caratterizza, o meglio, che pretendono li caratterizzi? Hanno
inseguito un’idea ideale solo perché gli piaceva. Il bisogno di
“profondità” da attribuire a un genere che li imbarazza perché
infond’infondo lo vedono frivolo e superficiale, li ha costretti ad
inventarsi un mondo ctonio dal quale la maschera, quindi il
personaggio unico, quindi il genere sviluppato, deriverebbero. La
ricerca spasmodica di profondità della cosa, li ha indotti a scavare
fuori della cosa e non nella cosa, perché intimamente convinti che
in quella cosa, infond’infondo, non ci fosse, non ci sia nulla.
C’è
alcunché di scientifico in questo? Sono scientifici quando spendono
in carta e inchiostro e in megabyte per spiegare l’etimologia di
quello sciagurato nome, unico fra le centinaia, forse migliaia, di
tutti gli zanni di tutta la Commedia, a prestarsi a simili esercizi?
E tutti gli altri – numerosissimi – nomi degli altri personaggi?
Quanti e quali sono i nomi per i due Vecchi? Quanti e quali per gli
Innamorati? E per i Capitani? Alla fine sono migliaia. Ogni nome è
una storia e un significato e quindi un comportamento. Non contano
nulla? Solo uno è interessante? L’unico che è riferibile
(forzosamente) a un diavoletto, è quello che spiega tutto il
sistema? Ma davvero?
Un
nome. Un solo nome e tutta la Commedia dell’Arte è cancellata a
vantaggio di un solo personaggio e ad evocazione di un mondo
fantastico che nulla, ma proprio nulla ha a che vedere con la
Commedia dell’Arte e, soprattutto, non ha nullissimamente a che
vedere con la Sua nascita, la Sua origine, con il momento in cui
Essa, apparendo, Laica e Rinascimentale, Cittadina e Concreta,
dichiara tutto di Sé anche per il Suo futuro: incluso quel futuro
barocco e degenerante, che vi butta di tutto dentro, come in una
discarica capace e generosamente accogliente (compresi alcuni
diavolastri moralisti importati dall’estero, in compagnia di tutti
gli dèi dell’olimpo e di creature varie) e che non riesce a
sporcarla, perché i tipi fissi, loro, resistono: laici, cittadini,
concreti e rinascimentali, fino in fondo.
La
lunga storia della Commedia dell’Arte, a volte sconcerta per la sua
‘gnoccaggine’3
o faciloneria o per la sua bassa pretestuosità; ma tranquilli:
nessuno pensi che qui si pensa che voi pensiate che noi pensiamo che
secoli di attività di migliaia di compagnie e di attori, abbiano
sempre toccato il vertice della perfezione, e che non si siano mai
sbagliati o giammai lasciati andare al facile. In questo senso c’è
davvero di tutto in Commedia. La Commedia continua anche, se non
soprattutto, nei suoi aspetti più corrivi. Così che viene garantita
anche la continuità storica e storiografica della sua detrazione.
Che col passar del tempo si fa elegante e scientifica.
Un
punto sul quale tutta la storiografia e la critica teatrale
concordano, anche se con svariatissime sfumature ed intensità, è la
(pretesa, ovviamente) assenza di struttura nelle opere, negli scenari
e nelle commedie distese, della Commedia dell’Arte. Certo ce ne
vuole di scientifica certezza per affermare un concetto così
anti-scientifico. Intanto chiariamoci: tutte le cose fatte,
fabbricate, anche un disegno al pennarello e una creta modellata
opere di bambini, hanno precise strutture. Se poi ha una sua
struttura un’opera unica (un David di Michelangelo per citarne
una), figuriamoci un’opera ripetuta, condivisa, limata,
perfezionata in migliaia di esperienze e per svariati secoli.
Credo
che il rifiuto di vedere una struttura in un sistema espressivo che
ha creato un mestiere e che l’ha insegnato a tutti, che ha
coerentemente retto per secoli e regge tuttora, sia un lascito di
quell’imbarazzo che ha costretto quegli storici del brutto secolo
passato, tuttora influenti, a inventarsi la genealogia diabolica
delle maschere della Commedia. Pensavano, e i loro discendenti (siamo
alla terza generazione) continuano a pensare, che l’Improvvisa sia
una cosetta, una cosuccia, una cosina, una coserella (vi risparmio
gli oltre duecento diminutivi della lingua italiana elencati dal
Tommaseo).
Però,
non è il disprezzo profondo e malcelato che li porta a rifiutare
l’esistenza di una struttura nella Commedia. No. È qualcosa di
mooolto più imbarazzante. È la loro incapacità di vedercela, la
struttura. E perché non la vedono? Perché la si vede solo se la si
fa. La fanno loro? La saprebbero fare? No e no.
Non
tutti i teatranti sono capaci di spiegarla: ma tutti sono capaci di
capirla e di metterla in pratica.
In
questo mio lavoro, servendomi della grande maschera di Pulcinella,
parlo di poetica della Commedia, di estetica della Commedia, di
Tecnica e di Come-Si-Recita, ciò che è poi, fisicamente, Struttura
della Commedia stessa. La struttura altro non è che com’è fatta e
come la si applica: sta sulla superficie terrestre, non è né
celeste né ctonia. Non è nemmeno nelle oscure profondità della
psiche, ma è nei rapporti diretti fra persone, fra esseri
umano-sociali, in due modi: rapporti fra umano-sociali sono le
vicende rappresentate sulla scena e rapporto fra umano-sociali è la
rappresentazione della fabula data dagli attori al pubblico.
La
mia intenzione di contribuire a mettere chiarezza e ordine in questa
confusione tutta derivata da chi ha erroneamente creduto di mettere
ordine, è cominciata col precedente lavoro LA
MASCHERA COMICA NELLA COMMEDIA DELL’ARTE4.
Lì la struttura della Commedia dell’Arte viene spiegata. Per la
prima volta. Se ne beneficiano molti commedianti.
In
VITA
MORTE E RESSURREZIONE DI PULCINELLA mi
servo, dunque, del grande personaggio per parlare della Commedia.
Perché così, in questo modo? Pulcinella è l’unica maschera che
non ha conosciuto interruzioni storiche. Pulcinella è la garanzia
storica della continuità dell’Improvvisa. Pulcinella ha portato
avanti, in epoca romantica, quando tutta la Commedia era scomparsa
dal Continente, il genere e la sua evoluzione: è Pulcinella la
porzione di Commedia che l’ha rigenerata e ricostruita per intero.
Pulcinella, Grande Sopravvissuto, ha fatto sopravvivere un intero
mondo. E Pulcinella è umano. Umanissimo. Circolano idee fasulle,
oggi, su Pulcinella: sarebbe (udite udite!) un maligno, un malefico.
Evidentemente, l’influenza delle teorie “diaboliche” è
arrivata fin qui, fino a contaminare un personaggio che è la massima
espressione dell’essere umano-sociale esposto a tutti, ma proprio
tutti i possibili drammi, impicci, imbrogli quotidiani e tutti come
vittima: poiché Pulcinella è un ‘pollo’, un coglione, un fesso;
e lo è perché è profondamente buono. L’esatto e perfetto
contrario delle serpeggianti teorie sul Pulcinella malvagio (ma chi
le inventa queste supreme bestialità? Ha un nome? Chi divulga queste
assolute schifezze senza alcun fondamento storico- artistico? Chi sa
parli!).
Il
mio sforzo contributivo continuerà, dopo questa pulcinellata, fra
poco, con ancora più materiale di riflessione, spiegazione,
dimostrazione. Non ho ancora un titolo per la prossima pubblicazione,
che è in corso d’opera, e che sviluppa, amplia, aggiorna e
arricchisce la prima.
Una
cosa è certa, certissima, per me e per chi pensa come me: l’attuale
esplosione (che sembra però un’implosione, rinchiusa com’è nei
socials
della gran rete, sguinzagliata per le strade di tanto in tanto, ma
decisamente assente dai teatri) di una certa sedicente Commedia
effettivamente superficiale e amorfa o mistimorfa, un rapido
diffondersi di questa commediola
dell’artuccia,
sembra – il paradosso è solo apparente – voler dare ragione alla
storiografia ed alla critica ultrascientifiche, le quali per voler
dimostrare chissacché non han dimostrato nulla, legittimando questo
risultato: la pletora di artistucoli commediolanti, fa quel che
vuole, chello
che lle passa p’a capa,
perché “tanto è Commedia qualunque cosa si voglia che lo sia”.
Alla faccia degli inventori dell’Arte, cioè, letteralmente, alla
faccia del Professionismo.
Gli
attori non sono quasi mai capaci di spiegare quello che fanno. Così
si pensa. Verissimo, purtroppo. Ma a fronte di quel ‘quasi’, che
sta a significare che qualcuno ci riesce5,
c’è la realtà tremenda degli storico-critici i quali non sono mai
capaci di fare6
ciò che si sforzano di spiegare. Quindi, senza voler precludere a
nessuno la libertà d’espressione e di divulgazione del proprio
pensiero (lo si faccia, è tutto grasso che cola), siano meno casta,
ascoltino, diano retta, riconoscano anche il nostro lavoro
“teorico”. Che si sviluppa nel tempo, si formula ‘a
posteriori’, nasce dalla pratica, quella benfatta come quella
malfatta, da quella così come da quella cosà; da quella pratica che
è, appunto, l’oggetto di qualsiasi studio sul teatro. È
esperienza. È testimonianza. Roba preziosa in questi tempi di corsa
rapida verso l’estinzione di tutte le arti e le culture storiche.
Antonio
Puricinedda
Fava
Reggio
Emilia, Italia, gennaio-febbraio 2014
1
Tommaso Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del
mondo, Venezia, 1589.
2
È uno delle centinaia di nomi conosciuti per il II°zanni
dell’Improvvisa. Non è un personaggio a sé stante, ma la
variante con quel certo nome del tipo presente in tutte le commedie
con svariatissimi nomi. E ciò vale per tutti i pochi tipi fissi
della Commedia: il Vecchio è scisso in due caratteri: Il Magnifico
e il Dottore; il Servo in due: Primo e Secondo oppure Furbo e
Sciocco; l’Innamorato, necessariamente in coppia o più coppie in
molte commedie; il Capitano. Non c’è altro. Altri personaggi sono
“di passaggio”, utili a quella certa azione in quella certa
commedia, quindi non sono annoverabili nel ristretto e privilegiato
gruppo dei ‘fissi’ o irrinunciabili. Tuttavia, per pochi che
siano i tipi, innumerevoli sono i nomi. Perché? Per l’ovvio
motivo che a fronte di un attore che porta avanti il personaggio
acquisito in una famiglia d’Arte o da un Maestro di gran fama, c’è
la maggioranza di attori che inventano il proprio nome e il proprio
maschema per stare, sì, in tradizione ma con un segno o più segni
distintivi propri. Arlecchino è dunque soltanto uno dei tantissimi
nomi del servo sciocco. Consideriamo inoltre che diversi altri
secondi zanni con altri nomi, hanno lo stesso identico aspetto, col
costume a toppe – poi divenute eleganti losanghe –colorate,
stesso berrettino, stessa facciotta scura e, in genere, camusa. Il
“mito” è nato a tavolino, o piuttosto alla scrivania: negli
anni Cinquanta hanno fatto la loro apparizione le prime
teorizzazioni sulla maschera-diavolo. E da allora tutti ne parlano
di questa creatura come se fosse vera ma nessuno la mette in scena,
perché è semplicemente aliena, aliena al genere e alle singole
commedie, è inutilizzabile. L’effetto, l’unico, concreto e
deprecabile che è stato prodotto è semmai il ‘protagonismo’
di quella variante, letteralmente infestante: la Commedia, signore e
signori, non ha UN protagonista, per il semplice motivo che tutti i
personaggi sono protagonisti. Le compagnie dell’Arte hanno creato
un sistema di accordo fra specialisti, fra maestri, fra uguali, con
due soli obblighi per tutti: essere bravi e fare contento il
pubblico.
3
Gnoccaggine, facilità, agevolezza. Gnocco 1: Pane insaporito con
ciccioli tipico del reggiano. Gnocco 2: di facile esecuzione,
agevole, di facile comprensione, elementare. Gnocca 1: di persona
semplice, sciocca. Naif. Gnocca 2: donna bella e desiderabile.
4
Antonio Fava, LA
MASCHERA COMICA NELLA COMMEDIA DELL’ARTE,
Andromeda Editrice, 1999. Reperibile presso ArscomicA, insieme alla
prima edizione in Inglese, THE
COMIC MASK IN THE COMMEDIA DELL’ARTE,
edizione ArscomicA e a quella in Spagnolo, LA
MÁSCARA CÓMICA EN LA COMMEDIA DELL’ARTE.
Per
queste edizioni vai a www.antoniofava.com
Contatto diretto, Dina Buccino: vbuccin@tin.it
L’altra
edizione in inglese di THE
COMIC MASK IN THE COMMEDIA DELL’ARTE,
per la NORTHWESTERN
UNIVERSITY PRESS,
Evanston, Illinois, 2007.
Versione
Francese, LE
MASQUE COMIQUE DANS LA COMMEDIA DELL’ARTE,
in e-book Amazon:
http://www.amazon.fr/Masque-Comique-dans-Commedia-dellArte-ebook/dp/B00HXRQ35E
5
Alcuni che ci sono riusciti: Massimo Troiano, Discorsi
delli triomfi, apparati e delle cose più notabili, fatte nelle
sontuose nozze dell’Illustrissimo et Eccellentissimo signor duca
Guglielmo, primo genito del generosissimo Alberto Quinto, conte
palatino del Reno e duca della Baviera alta e bassa, nell’anno
1568, a’ 22 di febraro, di
Massimo Troiano da Napoli, Musico dell’Illustrissimo et Ecc.
signor duca di Baviera. In Monaco, appresso Adamo Montano, MDLXVIII.
Flaminio Scala, Prologo
della comedia del Finto Marito, in
Venetia, appresso Andrea Baba, 1618 (1619);
Il Teatro delle
Favole Rappresentative, overo La Ricreatione Comica, Boscareccia, e
Tragica: divisa in cinquanta giornate. In
Venetia, appresso Gio:Battista Pulciani. MCDXI. Pier
Maria Cecchini, nobile
ferrarese, fra’ comici detto Frittellino, Frutti
delle moderne comedie et avisi a chi le recita, Padova,
1628. Nicolò
Barbieri, La
Supplica Discorso Famigliare di Nicolò Barbieri detto Beltrame
diretta a quelli che scrivendo ò parlando trattano de Comici
trascurando i meriti delle azzioni virtuose. Lettura per quei
galantuomini che non sono in tutto critici, ne affatto balordi. In
Venezia con licenza de’ Superiori e Privilegio per Marco Ginammi
Lanno MDCXXXIV.
Luigi
Riccoboni, Histoire
du Théâtre Italien, A
Paris, De l’Imprimerie de PIERRE
DELORMEL,
1728.
Antonio Piazza,
Il Teatro ovvero
fatti di una Veneziana che lo fanno conoscere,
in
Venezia 1777. Le
mime Séverin, L’Homme
Blanc, souvenir d’un Pierrot, Plon,
Paris, 1929.
Dario Fo,
Manuale minimo
dell’attore, Giulio
Einaudi Editore, Torino, 1987.
Antonio Fava, La
Maschera Comica … cit.
Maschera
& Maschere, catalogo
della mostra Les
masque Comiques d’Antonio Fava, par
THEATRUM
COMICUM,
Ginevra, 2010.
Vita Morte e
Resurrezione di Pulcinella, ArscomicA,
Reggio Emilia, 2014. Molti
altri, con nomi anche più importanti, ma pur sempre una piccola
pattuglia nella moltitudine di attori.
6
Adoro il verbo ‘fare’.